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Intelligenza artificiale e diritto della concorrenza: gli algoritmi di prezzo

Scritto da Francesca Grandolini

L’evoluzione digitale e la sperimentazione di sistemi intelligenti ha determinato per il diritto antitrust nuove sfide con cui confrontarsi. L’implementazione degli algoritmi all’interno delle realtà  aziendali ha già dato prova dei rilevanti benefici che è in grado di restituire al mercato. Tuttavia, ciò comporta un aumento dei potenziali rischi per la concorrenza in termini di condotte collusive.

Gli scenari che possono verificarsi sono diversi tra loro e ciascuno merita l’attenzione degli strumenti di enforcement antitrust già conosciuti ovvero ancora in via di sperimentazione.

In primo luogo, gli algoritmi possono essere sfruttati come strumenti dinamici di fissazione dei prezzi, con lo scopo di creare o rafforzare accordi preesistenti. In tal caso, gli operatori umani forniscono tutte le indicazioni, lasciando al sistema c.d. “no brainer[1] la mera implementazione, attraverso processi automatizzati, di quanto previamente stabilito. Attraverso gli strumenti informatici si permette una reazione parallela e sincronizzata rispetto i frequenti cambiamenti di mercato, superando le tradizionali modalità di comunicazione e in tal modo rendendo meno probabili interventi da parte delle autorità.[2] La medesima condotta si osserva tanto con riferimento a imprese poste sullo stesso livello della filiera produttiva, quanto tra operatori in rapporto verticale e dunque non in diretta concorrenza l’uno con l’altro. L’esempio è quello dell’utilizzo degli algoritmi da parte dei fornitori per imporre e controllare il prezzo di rivendita applicabile ai clienti finali.[3] Rispetto simili scenari, un passo in avanti è stato compiuto grazie al Regolamento del maggio 2022[4] (“VBER”) e l’adozione di inediti Orientamenti sulle restrizioni verticali,[5] che continuano a censurare fenomeni di imposizione di prezzi di rivendita, resi esponenziali dall’utilizzo degli algoritmi. Dunque, un intervento del legislatore europeo in ottica presente e futura, che da un lato rende proprie le evoluzioni sociali e la prassi delle autorità, dall’altro mantiene fermi i principi del diritto antitrust e l’obiettivo di proteggere la leale competizione tra gli operatori, in un mercato sempre più trasparente.

Restando all’interno dell’ambito di applicazione dell’articolo 101 TFUE, un secondo scenario vede la realizzazione di un coordinamento di prezzi attraverso l’utilizzo dei software come “hub”. In tale circostanza, le imprese (gli spokes) restano tra loro prive di contatti diretti e lo scambio di informazioni avviene grazie al comune punto di snodo che assume il ruolo di tramite tra le stesse. Dal momento in cui si decide di avvalersi di un unico fornitore di algoritmi di prezzo, tutte le variazioni sul mercato avvengono in modo automatico, senza necessità di comunicazioni preventive riguardo la strategia da applicare. Al centro si pone il ruolo del software, che non esegue gli ordini delle singole società coinvolte, bensì fornisce loro l’output finale che gli permette di realizzare in modo simultaneo il medesimo profitto. Se l’intenzione dei concorrenti potrebbe non essere quella di agire in modo anticoncorrenziale, limitandosi ad affidare il compito di determinazione del prezzo ad un sistema in grado di farlo in modo “dinamico”, di fatto la quantità di Big Data analizzati coinvolge la totalità dei soggetti operanti sul mercato, con la conseguenza che attraverso la scelta dello stesso fornitore si realizza un vero e proprio scambio indiretto di informazioni. Nonostante le difficoltà in termini di onere della prova, non potrebbe accettarsi la difesa delle aziende legata alla mancata conoscenza del funzionamento di un simile meccanismo e dunque non dovrebbe permettersi alle stesse di esimersi dalla propria responsabilità.[6] Ancora una volta, il problema per le autorità è quello di identificare il punto di confine tra ciò che integra una fattispecie illecita e ciò che, viceversa, può rispecchiare un utilizzo accettabile delle nuove tecnologie all’interno delle dinamiche di mercato. L’ulteriore sfida è infatti quella di non compromettere i risultati in termini di efficienza ottenuti tramite lo sfruttamenti dei sistemi intelligenti, talvolta tali da potersi richiamare i principi che ispirano il regime derogatorio ai sensi dell’articolo 101.3 TFUE.[7]

Fino a questo momento si sono analizzate ipotesi in cui un comportamento lesivo della concorrenza è agevolato o reso possibile dall’utilizzo degli algoritmi, dietro i quali si riconosce, nella penombra, l’azione della mano umana. Tuttavia, l’evoluzione dei sistemi intelligenti ha ampliato le modalità attraverso cui le imprese possono realizzare comportamenti paralleli, senza che per questo sia necessaria alcun tipo di relazione. Si tratta invero di ipotesi di collusione tacita, rispetto alle quali, nonostante le criticità apprezzabili sul piano degli effetti anticoncorrenziali, il diritto antitrust non possiede attualmente strumenti di intervento che non invadano in modo eccessivo l’autonomia degli operatori economici.[8] Infatti, nel momento in cui i comportamenti paralleli sono frutto di decisioni autonome ed individuali delle singole aziende, ogni potere investigativo ed esecutivo deve arrestarsi.[9] Ciascun attore razionale è portato a raggiungere la massimizzazione del proprio profitto e, in assenza di un provato intento collusivo, rimane autonomo nel determinarne le modalità, lecite, per riuscirci. Dunque, se la decisione viene assunta in modo “intelligente” da tali sistemi, in grado di conoscere e tenere in considerazione le altrui decisioni senza che occorra una comunicazione delle stesse, in termini formali non si sta realizzando alcuna intesa anticoncorrenziale. In suddette circostanze, i software si comportano come “predictable agent[10], programmati al fine di controllare ed allinearsi alle oscillazioni di prezzo sul mercato con l’obiettivo finale di ottimizzare il profitto aziendale. Di conseguenza, ogni decisione è calibrata rispetto i mutamenti in atto, osservati ed analizzati sotto l’occhio di un inedito Grande Fratello “artificiale”. Ancora una volta, il diritto antitrust è chiamato ad individuare le modalità, i tempi e le peculiarità dei comportamenti paralleli, da cui far discendere l’applicabilità della disciplina, senza per questo dover incidere sulla trasparenza dei mercati.

L’ultimo e il più complesso scenario a cui si vuole arrivare si pone al culmine della rivoluzione digitale in atto, in cui i più recenti traguardi in materia di IA diventano gli strumenti dell’economia del prossimo, ma sempre più presente, futuro. Attraverso l’utilizzo di tecnologie di deep learning e di sistemi di reti neurali, le decisioni sono di fatto assunte in modo indipendente e talvolta oltre le aspettative dello stesso programmatore. Al contrario di quanto prospettato nelle ipotesi iniziali, in questo caso l’unico input umano di cui i software sono informati è quello di stabilire il miglior prezzo per il massimo profitto; i comportamenti successivi ne rappresentano autonoma esecuzione. In particolare, quanto appena detto può essere spiegato attraverso la teoria dei giochi, elaborata in ambito matematico per studiare i processi decisionali interattivi, in cui l’azione di ciascun giocatore dipende dalle interazioni con i propri avversari e viceversa. Applicata alle ipotesi qui considerate, l’idea è quella per cui, partita dopo partita, ogni algoritmo è in grado di affinare il proprio risultato, che ben presto sarà il medesimo per tutti. Gli effetti che ne derivano sono quelli tipici di un cartello, ma con la differenza che ad essi si giunge senza contatti diretti tra le imprese né alcuna programmazione dei software affinché conseguano tale fine. Inoltre, una volta raggiunto il prezzo ottimale, ogni deviazione è facilmente identificata e resa inutile, se non costosa; per questo, il mantenimento di quanto stabilito appare l’unica scelta “intelligente” e quindi da preferire all’interno di un meccanismo di premi e punizioni.[11] In conclusione, la consapevolezza umana, fattore determinante degli illeciti anticoncorrenziali, non è più solo critica da dimostrare, ma qui del tutto inesistente. Il baricentro torna a spostarsi sul problema che lega i rapporti in materia di IA e diritto: l’imputabilità della condotta e il grado di soggettività attribuibile alle macchine intelligenti. Il filo rosso che conduce le sorti del discorso continua.

 

[1] Con il termine “no-brainer” si fa riferimento a scenari in cui gli algoritmi sono sfruttati come mera estensione della volontà umana. Infatti, il caso più semplice di utilizzo della tecnologia per raggiungere finalità illecite «concerns humansagreeing to collude and using computers to execute their will»: A. EZRACHI, M. E. STUCKE, Virtual Competition: The Promise and Perils of the Algorithm-Driven Economy, Harvard University Press, Cambridge-London, 2016, 36.

[2] Il più noto precedente giurisprudenziale risale all’anno 2015 e affronta il caso di imprese operanti nel settore della vendita online di poster e cornici. Cfr. U.S. District Court, Northern District of California, San Francisco Division, United States v. Topkins, n. CR 15-201, 2015. Un ulteriore esempio può essere tratto dall’esperienza inglese, in particolare dalla decisione della Competition and Markets Authority nei confronti di Trod Limited e GB eye Limited, colpevoli di aver fatto uso di sistemi automatici di definizione dei prezzi, attraverso cui si realizzava una continua e reciproca sorveglianza affinché il costo praticato da ciascuno non fosse mai inferiore all’altro.

[3] Ai sensi dell’articolo 4, lett. a), Regolamento (UE) 2022/720, è punita «la restrizione della facoltà dellacquirente di determinare il proprio prezzo di vendita, fatta salva la possibilità per il fornitore di imporre un prezzo massimo di vendita o di raccomandare un prezzo di vendita, a condizione che questi non equivalgano ad un prezzo fisso o ad un prezzo minimo di vendita per effetto delle pressioni esercitate o degli incentivi offerti da una delle parti». Cfr. Decisioni della Commissione, 24 luglio 2018, casi: AT.40181, Philips, AT.40182, Pioneer, AT.40465, Asus e AT.40469, Denon & Marantz, in cui la Commissione ha sanzionato quattro società operanti nel settore dell’elettronica di consumo, artefici di aver limitato la concorrenza imponendo prezzi fissi al dettaglio nei confronti dei relativi distributori online.

[4] Regolamento (UE) 2022/720 della Commissione del 10 maggio 2022 relativo all’applicazione dell’articolo 101, paragrafo 3, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea a categorie di accordi verticali e pratiche concordate (Regolamento di esenzione per categoria relativo agli accordi verticali).

[5] Comunicazione della Commissione, Orientamenti sulle restrizioni verticali, COM (2022) 4238.

[6] Cfr. Commissione europea, Linee direttrici sull’applicabilità dell'articolo 101 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea agli accordi di cooperazione orizzontale, COM(2023) 4752, in base alle quali “le imprese coinvolte in pratiche illegali di fissazione dei prezzi non possono evitare la responsabilità per il fatto che i loro prezzi sono stati determinati da algoritmi”.

[7] Per esempio, nel 2018 l’Autorità antitrust del Lussemburgo ha fatto applicazione dell’articolo 101.3 TFUE nei confronti di Webtaxi, una volta accertata la sussistenza dell’intesa restrittiva a carattere orizzontale. Nella decisione, la stessa ha tenuto in debito conto degli effetti pro concorrenziali derivanti dall’utilizzo del sistema di fissazione dei prezzi, in assenza del quale la piattaforma non avrebbe riscosso alcun successo da parte degli utenti. V. Decisione della Luxemburg Competition Authority, 7 giugno 2018, caso 2018-FO-01, Webtaxi.

[8] Lo stesso si può affermare con riferimento al diritto statunitense, rispetto al quale la Corte Suprema americana ha definito la collusione tacita come un fenomeno «not in itself unlawful, by which firms in a concentrated market might in effect share monopoly power, setting their prices at a profit-maximizing, supracompetitive level by recognizing their shared economic interests and their interdependence with respect to price and output decisions»: U.S Supreme Court, Brooke Grp. Ltd. v. Brown & Williamson Tobacco Corp., 509 U.S. 209, 1993.

[9] Cfr. CGUE, Sentenza del 31 marzo 1993, cause riunite C-89/85, C-104/85, C-114/85, C-116/85, C-117/85 e da C-125/85 a C-129/85, Ahlström/Commissione.

[10] A. EZRACHI, M. E. STUCKE, “Tacit Collusion on Steroids: The Predictable Agent”, in op. cit.

[11] M. FILIPPELLI, “La collusione algoritmica”, in Orizzonti del Diritto Commerciale, Fascicolo speciale, E. AREZZO (a cura di), Giappichelli, 2021.